Sicilia, imparare ad odiarla per amarla

Viaggiare nel tempo è possibile e per farlo basta viaggiare. Letteralmente.

Ho avuto la fortuna di girare un po' per il mondo (briciole, rispetto alla sua grandezza) e nell'epoca di Facebook e Instagram, dove spesso l'obiettivo della vacanza sembra essersi trasformato in uno scatto o in un tag cattura consensi, raramente documento sui social i miei viaggi. A volte, però,  faccio delle eccezioni. Quest'ultime, in particolare, scaturiscono da particolari momenti vissuti durante la mia visita in un determinato luogo che meritano di essere condivisi con gli altri. E il mio, forse, è un semplice invito a chi non ci è mai stato ad andare in quel posto. Oppure è soltanto il desiderio di raccontare un'esperienza. Viaggiare vuol dire spezzare la routine. Non è una questione di chilometri: che sia Dubai piuttosto che Firenze, viaggiare significa scoprire qualcosa di nuovo. E le cose da scoprire sono tantissime: come alcune tradizioni diverse dalle nostre che resistono nel tempo...e tutto ciò a pochi passi da casa.

Sicilia. La più grande isola d'Italia e del Mediterraneo. Terra di contraddizioni, da sempre motivo di rabbia e di orgoglio per gli italiani, è il luogo ideale per fare un tuffo nel nostro passato più intimo e, allo stesso tempo, per assaporare come potrebbe essere il futuro. Il mare che la circonda vi darà il benvenuto, da qualsiasi parte voi arriviate. E quella lingua di mare che la distacca dal resto d'Italia ricorda molte cose. Difficile non vederci la "Creazione di Adamo" di Michelangelo, dove le parti più estreme di Calabria (o il resto d'Italia, se preferite) e Sicilia, sembrano le due dita (gli indici, in particolare) di Adamo e di Dio che un attimo prima di toccarsi...flettono. Una metafora che lascia spazio a mille interpretazioni e ad un'unica certezza: la natura ha lasciato l'isola siciliana staccata dal resto della penisola, rendendola unica e inconfondibile.

I profumi. I colori. Le bellezze architettoniche senza tempo. I teatri greci a strapiombo sul mare. Un enorme vulcano pronto a spaventare dando spettacolo. Paesi in cui il tempo sembra essersi fermato ma dove ogni giorno tutto scorre con regolare sregolatezza. Criminalità organizzata. Speculazione edilizia. Famiglia e rispetto. Fede. Strade rotte e spazzatura ovunque. Cinesi con la macchina fotografica in coda per vedere la Cappella Palatina. Il tramonto mozzafiato durante una sera d'estate alla Valle dei Templi di Agrigento. Arance, uva, pasta di mandorle, cannoli. Disoccupazione. La sabbia fine e dorata accarezzata dalle onde del mare azzurro. Il buongiorno e l'arrivederci di uno sconosciuto.

Potrei continuare all'infinito. Eppure mi fermo qui perché la mia mente vola a pochi giorni fa, quando per le strade di una piccola città situata nella parte meridionale dell'isola (circa 20 mila anime, molte delle quali sfuggono ogni anno per cercare fortuna altrove, all'estero in particolare) mi sono ritrovato davanti un'immagine che è rimasta letteralmente impressa nella mia memoria. Provate ad immaginare un vecchio paese, soffocato dalla speculazione edilizia, dove le strade impolverate e piene di buche sono il teatro della vita quotidiana di molte persone. Proprio qui, in mezzo a quel grigio, i colori dei vestiti di un gruppo di bambini che correvano per strada giocando, danzando, tenendosi per mano. Sorridevano felici, liberi da ogni diavoleria tecnologica. Un'immagine potentissima. "Come giocavamo noi" ci direbbero i nostri nonni. Eppure io, quei ragazzi, li ho visti pochi giorni fa. Un pizzicotto potrebbe non bastare per rendersi conto che quella è realtà. Sembrava tutto estratto da un film di Tornatore. Fare un giro in una di quelle città è un po' come vivere un film in diretta dove manca solo il bianco e nero. Sono "i modi di un tempo" che, per quelle strade, tornano a vivere con prepotenza di fronte ai nostri occhi. Emergono davanti a noi in tutta la loro bellezza e vorresti tuffarti in quel passato buono e non uscirne mai più. Tutto dura pochi istanti perché poi ti svegli da quella realtà e ti rendi conto di vivere in un altro posto, dove le cose non sono necessariamente peggiori o migliori...ma sono semplicemente cambiate.

I paesi si susseguono alternando al degrado e alla povertà, sconfinate distese di bellezze architettoniche dall'incalcolabile valore storico-culturale. È quasi sempre il campanile di una vecchia chiesa, che la domenica non smette di essere gremita di fedeli, a scandire il ritmo delle giornate. Qualcuno passerà quelle ore in una campagna a raccogliere frutta e verdura da vendere il giorno stesso per le vie di quella città, magari esponendo tutto nel bagagliaio di una vecchia macchina o di un motocarro. Alcuni sceglieranno i guadagni facili cedendo alle offerte della criminalità organizzata. Altri ancora riempiranno i bar del paese, rinunceranno al futuro lì e sogneranno una vita migliore fuori dai confini di quell'isola.

E la colonna sonora di questo mondo potrebbe essere una canzone, ma non una qualunque. Perché anche la musica è essa stessa l'espressione della lancetta del tempo che si è fermata. In quella città di cui vi parlavo prima, per esempio, la musica dance degli anni '90 la fa ancora oggi da padrona. Le vecchie Fiat Uno, Panda e Punto che spopolano in paese, sfrecciano con i sempre più pochi giovani a bordo (rigorosamente senza cinture) e, con i finestrini abbassati, fanno risuonare per le strade quelle melodie che per molti al nord hanno un che di nostalgico mentre lì, in Sicilia, sono pura contemporaneità.

Quelli che vi ho raccontato sinora non sono luoghi comuni. Non sono modi di dire. È davvero così: punto e basta. E così la famiglia è il fulcro di tutto. Il rispetto per i famigliari è il perno attorno al quale ruota tutto. Una forma di rispetto che potrebbe sembrare sproporzionata da altre parti ma che di fatto, sempre in virtù di quella lancetta del tempo che sembra essersi fermata, in quell'isola non conosce flessioni. Un modello di rispetto talmente efficace nella vita di tutti i giorni tanto da essere stato preso in prestito e adottato dalla malavita, tristemente nota ed emulata in tutto il mondo.

In Sicilia non devi perdere tempo cercando il filo di un discorso. In Sicilia non devi cercare di capire. Devi amarla, la Sicilia. Devi odiarla, la Sicilia. Devi accettarla, scoprirla, ammirarla. Devi perderti in tutti quei luoghi che, proprio perché sono fermi nel passato, ti danno l'occasione di riflettere sulla direzione presa dal futuro. Devi spegnere il telefono per ore, giorni e devi immergerti in un tessuto sociale contrastante che non potrà far altro che arricchirti, in un modo o nell'altro.

Cos'ho imparato da questa terra? Tante cose ma forse una in particolare che, su tutte, può adattarsi a tante situazioni della vita: imparare ad odiare qualcosa è il modo migliore per iniziare ad amarla.

Nicola Seppone






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