Un gioco di centimetri

i centimetri che ci servono sono dappertutto
sono intorno a noi
ce ne sono in ogni break della partita
ad ogni minuto 
ad ogni secondo
in questa squadra si combatte per un centimetro
in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi 
e tutti quelli intorno a noi per un centimetro
ci difendiamo con le unghie e con i denti
per un centimetro
perchè sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri
il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta
la differenza fra vivere e morire


Sul mio blog non parlo quasi mai di calcio, eppure questo sport ha rappresentato un'importante parentesi della mia vita. Non solo perché, come tanti, sono cresciuto con gli amici a dare calci ad un pallone passando interi pomeriggi giocando a 10,9,8. Ma anche come tifoso, per esempio, ho avuto la fortuna di veder giocare dal vivo giocatori come Maldini, Batistuta, Shevchenko, Weah, Pirlo, entrambi i Ronaldo, e molti altri. Poi il calcio è cambiato, insieme al mondo. E anche io, ovviamente, sono cambiato. 

La metamorfosi calcistica è sotto gli occhi di tutti. E sono le stesse vecchie glorie a ripercorrere il cambiamento all'interno dei loro "libri" e delle loro interviste. Qualcosa si è trasformato nel mondo del pallone. Ma è facile trovare esempi identici anche in altri sport come la pallacanestro e la pallavolo. In quest'ultimo caso resta celebre lo sfogo della Piccinini (icona dell'italvolley) "Giovani viziate e poco rispettose". È uno scontro generazionale che si ritrova ovunque. Non solo nello sport.



Il passato non è immacolato. Intendiamoci. Ma il presente delle nuove generazioni non è mai stato così preoccupante. Ma veniamo al sodo. Ieri, alla fine della partita di Cardiff, ho pensato ad un importante insegnamento di vita che il calcio è ancora in grado di trasmettere. Dopo gli sfottò post partita, mi sono soffermato sull'immagine di Buffon che passa accanto alla coppa dalle grandi orecchie. E subito un flash:la foto di Zidane (oggi, allenatore del Real Madrid uscito vittorioso dalla finale) mentre, espulso, scende negli spogliatoi. Dietro di lui, la coppa del mondo vinta dall'Italia pochi minuti più tardi. 

A fine match il capitano bianconero non ha nascosto la sua amarezza. Una sfortuna che sembra perseguitarlo. Ti manca solo una cosa e poi puoi dire "ho vinto tutto" (o comunque quasi tutto). Ma non riesci a raggiungere quell'obiettivo. Ieri tantissime persone si sono immedesimate nei loro campioni, come Buffon. "Questa volta è nostra. Me lo sento". Quanti lo hanno detto/pensato, scomodando anche le statistiche.

Eppure no.

Perché il lieto fine che tutti si erano immaginati non si è realizzato. 
Perché il lieto fine è l'eccezione. Non la regola. 
Imparare a perdere è la scuola migliore per godersi appieno una vittoria. Un'eccezione.
E questo il calcio lo insegna ancora alla grande. 

Gli happy ending sono ovunque. Pensate a tutti i film che finiscono bene (o forse, come speriamo). Sono la maggior parte. L'esperienza, invece, è l'unica vera "amica" che ti ricorda sempre che la vita è piena di sconfitte. Bisogna combattere per quel centimetro, come esorta a fare nel suo discorso Al Pacino nel film "Ogni maledetta domenica". Vero. Ma bisogna anche imparare a fare tesoro delle sconfitte per godersi tutte le eccezioni che la vita è disposta a regalarci.

Ieri la Juventus non ha combattuto per quel centimetro. Buffon ha dimostrato di essere un grande campione. Le sue lacrime a fine partita erano reali e non serve tirar fuori la parola eroe abbinata ad un calciatore. Anche quando si è tifosi sfegatati. Gli eroi son altri. Ma accettando una sconfitta, e trasmettendo una cultura di rispetto per l'avversario, si è di nuovo dimostrato un ottimo esempio per un pubblico vastissimo. Ed eccolo qui, proprio dentro la sconfitta, un bel insegnamento del calcio moderno. 


Nicola Seppone


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