Il fil rouge che accomuna ogni tragedia
No. Niente invettive contro qualcosa o qualcuno. Nessun sfogatoio dettato da una comprensibile rabbia che, in queste ore, sta contagiando i cittadini di Genova, della Liguria e dell'Italia intera. Nelle poche righe che seguiranno non leggerete nulla di tutto ciò.
Ci stiamo abituando a vivere le tragedie (attentati, stragi, incidenti, ecc.) attraverso i social e abbiamo imparato che, soprattutto durante le prime ore successive ai fatti, è meglio spegnere tutto oppure leggere e passare oltre senza lasciarsi convincere dalla tentazione di commentare. C'è ignoranza (nel vero senso della parola), pressappochismo e rabbia. Tanta rabbia che fa scrivere cose insensate e prive di ogni fondamento. Il social, poi, ci mette del suo e, attraverso il meccanismo della viralità dei contenuti, trasforma un'emozione buttata lì, e magari scritta anche bene, in una mina vagante trasportante odio e pronta a colpire, il più delle volte, persone generalmente odiate per una ragione particolare (spesso sono motivi politici) ma che nulla, in realtà, hanno a che vedere concretamente con quel spiacevole fatto accaduto.
Perdiamo tempo prezioso, per esempio, quando cerchiamo di capire i motivi che hanno portato ad un evento così grave come quello accaduto ieri a Genova. Perché non potremo mai, noi, capire i veri motivi. Non li sappiamo e non li sapremo di certo a breve. Condividere quel documento, quell'intervista in cui quell'ingegnere, 20 anni fa, metteva tutti in guardia, non aiuterà la magistratura a fare chiarezza su questa vicenda. Così come non porterà a nessun risultato sbattere sulla vostra bacheca Facebook l'immagine di un politico con una scritta a caratteri cubitali del tipo: "È COLPA SUA". Lo capite che è assurdo, vero?
Invece, mettendo da parte il rancore e la sete di vendetta sociale, ci si accorge di quel fil rouge che accomuna ogni tragedia, attentato o incidente che sia. Quel fil rouge si chiama vita. L'immagine emblematica, nella tragedia genovese, ce la offre il tir del Basko fermo a pochi metri dal baratro. È quello il vero insegnamento che ci lascia ogni disgrazia di questo tipo. Non la teoria del complotto, l'invettiva, l'ansia di ottenere la verità subito ed ora. No. Non saremo noi, toccati solo emotivamente, a smuovere le cose per far emergere la verità dei fatti. Lo faranno altri, semmai. E ci vorrà del tempo.
Quello che possiamo fare noi, invece, è un'altra cosa ed è vivere il presente (senza mai rimandare nulla a domani), consci del fatto che, molte volte, non siamo noi a decidere quando è ora di andarcene. Vivere la vita a pieno, ogni giorno, è l'unico insegnamento che dobbiamo condividere, linkare, tramandare e...fare. Ogni giorno.
Ci stiamo abituando a vivere le tragedie (attentati, stragi, incidenti, ecc.) attraverso i social e abbiamo imparato che, soprattutto durante le prime ore successive ai fatti, è meglio spegnere tutto oppure leggere e passare oltre senza lasciarsi convincere dalla tentazione di commentare. C'è ignoranza (nel vero senso della parola), pressappochismo e rabbia. Tanta rabbia che fa scrivere cose insensate e prive di ogni fondamento. Il social, poi, ci mette del suo e, attraverso il meccanismo della viralità dei contenuti, trasforma un'emozione buttata lì, e magari scritta anche bene, in una mina vagante trasportante odio e pronta a colpire, il più delle volte, persone generalmente odiate per una ragione particolare (spesso sono motivi politici) ma che nulla, in realtà, hanno a che vedere concretamente con quel spiacevole fatto accaduto.
Perdiamo tempo prezioso, per esempio, quando cerchiamo di capire i motivi che hanno portato ad un evento così grave come quello accaduto ieri a Genova. Perché non potremo mai, noi, capire i veri motivi. Non li sappiamo e non li sapremo di certo a breve. Condividere quel documento, quell'intervista in cui quell'ingegnere, 20 anni fa, metteva tutti in guardia, non aiuterà la magistratura a fare chiarezza su questa vicenda. Così come non porterà a nessun risultato sbattere sulla vostra bacheca Facebook l'immagine di un politico con una scritta a caratteri cubitali del tipo: "È COLPA SUA". Lo capite che è assurdo, vero?
Invece, mettendo da parte il rancore e la sete di vendetta sociale, ci si accorge di quel fil rouge che accomuna ogni tragedia, attentato o incidente che sia. Quel fil rouge si chiama vita. L'immagine emblematica, nella tragedia genovese, ce la offre il tir del Basko fermo a pochi metri dal baratro. È quello il vero insegnamento che ci lascia ogni disgrazia di questo tipo. Non la teoria del complotto, l'invettiva, l'ansia di ottenere la verità subito ed ora. No. Non saremo noi, toccati solo emotivamente, a smuovere le cose per far emergere la verità dei fatti. Lo faranno altri, semmai. E ci vorrà del tempo.
Quello che possiamo fare noi, invece, è un'altra cosa ed è vivere il presente (senza mai rimandare nulla a domani), consci del fatto che, molte volte, non siamo noi a decidere quando è ora di andarcene. Vivere la vita a pieno, ogni giorno, è l'unico insegnamento che dobbiamo condividere, linkare, tramandare e...fare. Ogni giorno.
Nicola Seppone
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