Cerchiamo di capire il perché mentre siamo in guerra

Molti giornali/blog si sforzano di giustificare quanto accaduto a Barcellona e di conseguenza tutta la scia di sangue di questi ultimi anni. Vanno alla ricerca delle origini del problema e tentano di produrre delle analisi spesso frettolose ma persuasive. Questi discorsi collegano gli efferati attacchi alle bombe che hanno provocato la morte di tanti civili innocenti lontano dall'Europa. E di qui passa la giustificazione perché in fondo, numeri alla mano, qui ne crepano ancora pochi. 

Io apprezzo lo sforzo di comprensione che non si sofferma alle apparenze. Lo apprezzo davvero. Le scelte di altri stanno ricadendo come macigni sul futuro di tutti noi. In Europa e fuori dall'Europa. Il punto è che ormai ci siamo dentro e se è vero che siamo in guerra allora non esistono regole. Dal punto di vista del cittadino comune, colui che subisce passivamente le scelte fatte da altri, tutto ciò è inaccettabile. Le reazioni scomposte, di molto sopra le righe, sono giustificate. Non tentate di smontarle con il potere della storia della "verità". Se siamo in guerra non conta più nulla: soprattutto per chi questa guerra proprio non l'ha cercata. Non l'ha voluta. E questo vale da entrambe le parti. 

Tutti si sforzano di portare avanti le loro giustificazioni: gli occidentali che hanno vissuto esperienze in Medio Oriente scriveranno lunghi trattati per giustificare le ingiustizie del mondo Occidentale: "Spegnete la TV! Cercate la verità!" e probabilmente sarà tutto vero. Chi lo sa. Ma cosa conta tutto questo per il papà falciato da quel furgone sotto gli occhi del figlio e della moglie? E per quel bambino ucciso dalle bombe, per la sua famiglia, a cosa serviranno i "trattati giustificati"? A nulla. 

Forse domani, sui libri di storia, sarà interessante capire tutto. Ma oggi, ora, siamo in guerra. E purtroppo è tardi per capire. 

Nicola Seppone


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