Lavoro stagionale: tra "schiavisti" e "fancazzisti", la ragione è di tutti e di nessuno

“Non si trovano lavoratori stagionali disposti ad accettare un lavoro da 1.500 euro al mese”. È questa una delle notizie più lette del giorno (QUI). Facciamo subito chiarezza: il reddito di cittadinanza non c’entra nulla, ma viene semplicemente utilizzato come tesi giustificativa solo perché fa comodo parlarne (politicamente, giornalisticamente e così via). L’opinione pubblica si spacca tra #nonavetevogliadifareuncazzofancazzisti e #cisfruttatebruttemerdedischiavisti. 

Chi ha ragione?

Secondo me, tutti. AVETE TUTTI FOTTUTAMENTE RAGIONE. E non è una risposta seccamente diplomatica per sgombrare comodamente il campo dai dubbi. È proprio così. Perché dipende dal caso, non esiste una regola valida per tutte le situazioni. E così ci sarà il datore di lavoro senza scrupoli, che magari assumerà in nero e con stipendi ben al di sotto del dovuto, così come esisterà il lavoratore fancazzista, che…voglia di lavorare saltami addosso.

Quindi, tornando all’articolo di oggi, se diamo uno sguardo ai vari commenti ci accorgiamo subito di due reazioni dominanti (acchiappalike):
  • “Cercate degli schiavi, non dei lavoratori stagionali: per quei soldi, fateveli voi certi lavori”
  • “I ragazzi di oggi non hanno voglia di fare un cazzo”
E giù di like, da una parte e dall’altra, quasi come se la verità assoluta fosse incarnata perfettamente da una delle due posizioni. Ma anche no. Chi reagisce, infatti, lo fa il più delle volte perché reduce da un’esperienza personale, diretta o indiretta, in qualità di datore di lavoro oppure di lavoratore dipendente. E magari tutti, sulla base della loro esperienza, avranno ragione! Il punto è che oggi è molto più comodo sparare a zero, in un modo o nell’altro, per catturare il consenso di quelli che hanno avuto la stessa esperienza e che, quindi, si ritrovano in quello sfogo. Ma in questo modo “tutti i datori di lavoro sono delle merde” e “tutti i giovani di oggi non hanno voglia di fare un cazzo”.

È palesemente un’impostazione sbagliata. Stiamo vivendo un periodo storico di transizione, caratterizzato dall’avvicendarsi di lavori nuovi - letteralmente mai visti prima-  che vanno a rimpiazzarne altri in via di estinzione. I lavori che resistono al passare del tempo, quelli che, nonostante tutto, non cambiano,  devono fare i conti con una mutata mentalità che via via si sta formando sia dalla parte datoriale, sia dalla parte del lavoratore subordinato. Gli interessi di entrambe le parti, in passato magari più coincidenti, oggi tendono a cozzare sempre di più, palesando il sempre più evidente cambiamento dei tempi. 

Lentamente (ma neanche molto), ci stiamo dirigendo verso un nuovo mondo del lavoro. Siamo solo agli albori del cambiamento. E avete tutti fottutamente ragione. 


Nicola Seppone


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