BOOM, e niente fu più come prima

Dolcevita nero, jeans e scarpe da ginnastica. E con un nuovo dispositivo touch, direbbe oggi Rovazzi, andiamo a comandare, nel mondo. Steve Jobs si presentava così sul palco del Macworld di San Francisco. Teneva in mano quello che sarebbe diventato uno degli oggetti di consumo più conosciuti al mondo: l'iPhone. E pensare che il primo modello non arrivò mai in Italia. I più nerd, per averlo, avrebbero dovuto importarlo dagli Stati Uniti e craccarlo a dovere per superare l'impasse della compatibilità delle SIM.

Touch era la parola d'ordine. E oggi, a distanza di 10 anni dal lancio di iPhone, la parola chiave non solo non è cambiata, ma è diventata la regina del mondo tecnologico. Tutto, progressivamente, sta diventando touch. Sino a qualche anno fa era impensabile l'idea di acquistare un biglietto del treno interagendo con un dispositivo touch, tanto per fare un esempio. E basterebbe fermarsi qui per descrivere quanto ci aveva visto lungo Jobs.



Da amante della tecnologia e curioso di natura come sono, non resistetti nemmeno un istante e lo provai. Come si dice, amore a prima vista. Perché se da una parte era davvero sconvolgente passare dalla tastiera fisica dei vecchi Nokia alla digitazione di un messaggio premendo con i polpastrelli "sul nulla", dall'altra parte era intuibile sin da subito l'enorme potenziale di quell'oggetto. Un potenziale che, ancora oggi, non solo non si è esaurito, ma potrebbe riservare in futuro numerose sorprese.

Inutile negarlo, l'iPhone ci ha cambiato la vita. Perché anche se non avete mai avuto un iPhone, molto probabilmente nella vostra vita avrete avuto a che fare con il mondo touch (vuoi con un altro smartphone, tablet, ecc). E dopo l'Iphone (quante volte avrete sentito dire questa frase) nulla è stato più come prima. Ed è verissimo.

Mi ero promesso di non scriverlo ma il momento "nostalgia canaglia" mi sta partendo in automatico.

Insomma, c'è una grossa differenza tra chi, come me e tanti altri, ha iniziato a usare il telefono all'epoca dei primi Alcatel ( ne avevo uno arancione, lo comprai da Taggiasco a Pietra, mi sembra di parlare del protozoico) e chi, come le nuove generazioni, si è trovato sin da subito in mano un telefono touch, di ultima generazione.

Si lo so a che cosa state pensando (o canticchiando), "ma che ne sanno i 2000".

Però tutto sommato è vero.  Perché ricordo come se fosse ora, "l'ansia da SMS contato" che avevo nel digitarne uno con i vecchi Alcatel o Nokia. (posto che il mio telefono preferito, che tengo ancora oggi nel cassetto come una vecchia reliquia, è il mitico Motorola RAZR V3, un capolavoro di eleganza e praticità). Le tariffe all'epoca parlavano chiaro: avevi un tot di SMS gratuiti, dopo di che la pacchia  era finita. E qui però ci sta il barbatrucco. Perché la capacità di sintesi (che dovevi adottare per scrivere un messaggio) portava con sé anche la ponderazione delle parole. Detto altrimenti, prima di scrivere certe cose, dovevi pensarci molto bene perché, se finivi i messaggi del giorno, non avresti avuto modo per tornare indietro. Tu dici, "e chiama no?" (cit. pubblicità con Bruce Willis). E chi li aveva i soldi per chiamare? :D E qui ci sta il secondo barbatrucco.

Lo squillo.

Più che due righe sul blog, lo squillo, meriterebbe un libro a parte. Titolo: "Lo squillo e i suoi mille significati. Dal Sì, ti voglio trombare al No, stai scassando abbastanza la minchia, mollaci". Perché lo squillo è stato per anni il metodo di comunicazione più utilizzato al mondo. Roba che il codice Morse, in confronto, sembrava una filastrocca dei Teletubbies.

Squillo normale, mezzo squillo (cazzo, il mezzo squillo), squillo lungo, doppio squillo, triplo squillo. Risposta accidentale. Soldi mangiati. Basta squilli e bestemmia incorporata.

Oggi ricordo volentieri queste "pratiche" perché siamo passati dalla ponderazione nella scrittura di un testo alla frenesia di linguaggio, totalmente fuori controllo. Oggi si scrive tanto. Anzi, tantissimo. E ci si parla poco in faccia. Anzi, pochissimo. L'astrazione dei rapporti è il nostro pane quotidiano.

E l'Iphone, tanto per restare in tema,  è sicuramente lo strumento principe che realizza tutto ciò.

Indispensabile per alcuni, utilissimo per altri.  Ne facevamo a meno in passato: e questo vale per tutti.

Un paradosso se ci pensate. Siamo nell'epoca del touch. Letteralmente una parola che significa "toccare", "contatto". E che realizza nella pratica la cosa più lontana possibile dal "toccare" e dal "contatto".

E nel 2017? Cosa rappresenta l'iPhone, oggi?

Per molti, come già detto in parte, un indispensabile strumento di lavoro (pensate che in Francia, di recente, si è arrivati all'adozione di una legge che sancisce il "diritto a restare sconnessi",  sembra ieri quando si leggevano titoli del tipo "diritto a restare connessi ovunque con il wi-fi, oggi parliamo già del contrario, anche se sono ambiti diversi fa comunque uno strano effetto leggere certe cose).

Per altri l'iPhone (ma potrei anche parlare di Samsung o di qualsiasi altro telefono top di gamma, - soltanto che l'iPhone resta simbolicamente un vero e proprio oggetto di culto), è un semplice strumento di moda. E questi li riconosci perché postano su Instagram le foto con il retro del dispositivo per far vedere la mela morsicata poi se gli chiedi come si attiva "Siri" ti dicono "Sirisponde schiacciando il verde, testa di cazzo".

Per altri iPhone non esiste. Riescono a vivere senza. Sono quelli che ti fanno chiamare il 119 per vedere un po' quanti cazzo di SMS  (ed MMS attenzione, un attimo di silenzio per MMS grazie) prevede la tua offerta perché te lo eri quasi dimenticato.

Ma una cosa è certa, dopo 10 anni siamo ancora qui a parlare di iPhone. E qualcosa vorrà pur dire.


Nicola Seppone

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